venerdì 16 febbraio 2024

martedì 13 febbraio 2024

Chiesa-Massoneria, dopo il divieto di Papa Francesco a Milano «storico» confronto tra il Gran Maestro e l'arcivescovo Delpini

@ - Occhi puntati sul confronto Chiesa-Massoneria organizzato all'ombra del duomo di Milano. L'arcivescovo milanese, Mario Delpini e il Gran Maestro del Grande Oriente, Stefano Bisi saranno i protagonisti di una discussione aperta su un controverso rapporto che si trascina da secoli.

Papa Clemente XII, il pontefice che firmò il primo documento contro la Massoneria
© - licenza temporanea
A due mesi dalla dichiarazione sulla assoluta incompatibilità per i cattolici a far parte di logge massoniche («Sul piano dottrinale l'iscrizione attiva è proibita a causa della inconciliabilità della dottrina») firmata da Papa Francesco alla fondazione dell'Ambrosianum è stato organizzato un evento definito “storico” dai massoni. Accanto a monsignor Mario Delpini ci saranno anche il presidente della Pontificia Accademia di Teologia monsignor Antonio Stagliano’ e il cardinale Francesco Coccopalmerio già presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Sul sito del Grande Oriente viene spiegato che si parlerà apertamente di come la Chiesa formulò la scomunica sotto il pontificato di Clemente XII fino ad arrivare ai giorni nostri. La relazione di Bisi ha per titolo: “La Massoneria tra Ratzinger e Bergoglio”.

L'ultima condanna vaticana risale al novembre scorso. Era stata sollevata da un vescovo filippino Julito Cortes piuttosto preoccupato per il continuo aumento di fedeli iscritti alla massoneria nella sua diocesi e si rivolgeva a Roma per avere indicazioni su come affrontare il fenomeno dal punto di vista pastorale. Nel corso dei secoli i pronunciamenti sono stati diversi e sempre con accezioni negative. In tutto sono circa seicento: si va dalla bolla di scomunica 'In eminenti apostolatus specula' (1738) di Clemente XII alla importante dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1983, redatta dall'allora cardinale Ratzinger e approvata da san Giovanni Paolo II.

Una dichiarazione, quest'ultima, che ribadiva «il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina e perciò l'iscrizione ad esse rimane proibita». Anche Papa Francesco si è espresso più volte con toni critici. Parlando dei tanti santi che arricchirono la vita sociale nella Torino dell'Ottocento, Bergoglio nel 2015, durante il suo viaggio piemontese, sottolineava: «In questa terra - e questo ho detto anche alla Famiglia salesiana - alla fine dell'Ottocento c'erano le condizioni più cattive per la crescita della gioventù: c'era la massoneria in pieno, anche la Chiesa non poteva fare nulla, c'erano i mangiapreti, c'erano anche i satanisti… Era uno dei momenti più brutti e dei posti più brutti della storia d'Italia. Ma se voi volete fare un bel compito a casa, andate a cercare quanti santi e quante sante sono nati in quel tempo! Perché? Perché si sono accorti che dovevano andare controcorrente rispetto a quella cultura, a quel modo di vivere».

Sempre nel 2015, sull'Avvenire, veniva pubblicata una lettera del Gran Maestro, Bisi, che sollevava le ragioni della inconciliabilità tra Chiesa e Massoneria. L'occasione per affrontare un argomento tanto scomodo era stato un convegno organizzato dal Grande Oriente d’Italia a Siracusa al quale aveva preso la parola l'allora vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò. Bisi spiegava all'Avvenire che i massoni «non devono convincere nessuno» ma di certo la «Massoneria non potrà mai e poi mai avallare dogmi e assiomi fideistici che sono lontani dalla sua ultra secolare tradizione».

Alla lettera rispondeva l'allora direttore del giornale della Cei, Marco Tarquinio che pur lodando il dialogo chiariva che restavano due visioni opposte.Se i massoni un tempo venivano scomunicati ipso facto dalla Chiesa, con il tempo il giudizio sembra essersi un po' mitigato. Nel novembre 1983 la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicava una dichiarazione sulle logge massoniche. L'allora prefetto Joseph Ratzinger precisava che l'iscrizione costituisce obiettivamente un peccato grave e che li aderenti a una associazione massonica non possono accedere alla Santa Comunione. Da qui la convinzione che vi è una inconciliabilità di fondo fra i principi della massoneria e quelli della fede cristiana».

Le polemiche sono poi continuate con monsignor Nunzio Galantino (all'epoca segretario della Cei) che dalle pagine di Famiglia Cristiana aveva ripetuto che «tutto ciò che da singoli o gruppi attenta al bene comune a vantaggio di pochi non può essere accettato» e condannava quei preti o quei vescovi che avevano aderito alla Libera Muratoria. Immediata fu la replica di Bisi: «Quelle del segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana ci sono sembrate parole molto pesanti ed inopportune per un alto esponente del Vaticano che dovrebbe avere grande dimestichezza nel misurare il verbo con saggezza, equilibrio e estrema cautela prima di accusare in modo così eclatante e scomunicare personalmente e inutilmente la Massoneria».

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giovedì 8 febbraio 2024

L'arcivescovo di Gorizia: «L'odio tra le comunità? Non è inevitabile»

@La cultura a cavallo di un confine ha avviato cammini di pace e riconciliazione. E lo ha superato grazie al dialogo tenuto vivo anche dalle chiese con valori condivisi che hanno portato all’unità nell’Unione europea. L’8 febbraio 2025 quella cultura che ha superato i confini unendo due città divise da un muro le rende capitali europee per un anno. Può essere l’occasione per aiutare a risolvere i conflitti attuali e la questione dell’immigrazione.

L'arcivescovo di Gorizia: «L'odio tra le comunità? Non è inevitabile»© Fornito da Avvenire

È il messaggio, ripreso dalla Marcia della pace dello scorso 31 dicembre, che la chiesa di Gorizia lancia a un anno esatto dall’avvio di “Go!2025”, che vedrà per la prima volta insieme per 12 mesi come capitali europee della cultura due città confinanti , le gemelle Gorizia e Nova Goriça, appartenenti a due paesi diversi, e lacerate fino a 20 anni fa. Uno spirito di unità che nasce anche dal cammino percorso nei faticosi decenni del secolo scorso dalle comunità ecclesiali e di cui parliamo con l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente di Caritas italiana.
È il riconoscimento a un territorio che ha vissuto tra la Prima e la Seconda guerra mondiale divisioni e lacerazioni. Ha avuto una storia complessa che ha lasciato e strascichi dolorosi e faticosi. E che negli ultimi decenni soprattutto ha avviato un cammino di riconciliazione che ha permesso ora di avere il titolo condiviso di capitale europea della cultura, con un serie di eventi importanti che partiranno esattamente tra un anno.

Ma come è stato possibile il riavvicinamento tra due comunità, a un certo punto divise dalla politica della Guerra fredda e fisicamente anche da muri e filo spinato?

Perché la divisione non è stata così radicale. A Gorizia molte famiglia italiane infatti sono “miste”, hanno un componente di lingua e cultura slovena e viceversa. Da secoli c’era un confronto e un dialogo tra esponenti delle diverse culture. Purtroppo le due guerre hanno rotto questo aspetto, ma il legame è stato resiliente nonostante i tentativi di reciderlo.

Quali ad esempio?
Nelle case edificate nella parte di Nova Goriça costruita dopo la seconda guerra mondiale furono inviate persone provenienti da altre regioni della Jugoslavia per rendere più difficile l’accordo. Poi è stato compiuto ugualmente un cammino di riconciliazione per merito anche delle due comunità ecclesiali e l’impegno dei sindaci negli anni 70 e 80 che continuavano a incontrarsi nonostante la divisione. Importanti anche i lavori successivi degli storici nel ricostruire una memoria non sempre condivisa, ma più oggettiva e accolta da entrambe le parti.

Prima la marcia della pace organizzata da Pax Christi, Caritas italiana e dall’arcidiocesi il 31 dicembre 2023, poi tra un anno esatto l’avvio dell’anno come capitali europee della cultura. Che messaggio si vuole lanciare?

Il fatto che la marcia della pace dell’ultimo dell’anno sia stata transfrontaliera e si sia conclusa nella concattedrale di Nova Goriça dopo aver percorso i luoghi simbolo delle due guerre è un unicum che intendiamo ribadire. Nel 2025 la nostra diocesi e quella di Capodistria, da cui dipende Nova Goriça e con la quale abbiamo un’ottima collaborazione, tenteranno di far sì che questo evento non sia solo una manifestazione culturale e turistica con tanti eventi molto interessanti. Non ci si dimentichi che siamo a cavallo di un confine, su una terra segnata da fatiche e difficoltà che può essere un segno di pace. Come chiesa insisteremo con diverse iniziative per dare un segnale forte. Le due diocesi hanno fatto approvare ad esempio il bando per un cammino da Aquileia e al Santuario sloveno di Seta Gora, Monte Santo perun discorso di pace.

Che ruolo ha avuto la fede cristiana nell’unire le due comunità?
Ha aiutato molto perché la diocesi di Gorizia è addirittura trilingue. La fede comune ha aiutato percorsi anche eroici di perdono e riconciliazione.Storie come quella di un sacerdote ormai defunto di lingua slovena fuggito da questa parte a alla cui famiglia i partigiani titini avevano inferto lutti e violenze. Sua mamma gli disse che gli avrebbe dato il permesso di diventare prete solo se avesse perdonato. E c’è ancora l’associazione “Concordia et pax” il cui presidente è figlio di un italiano infoibato che ha tento di ricordare i caduti da ambo le parti avviando percorsi di riconciliazione.

Gorizia è definita da San Giovanni Paolo II porta d’Europa per chi proviene dai Balcani. E nella stessa piazza Transalpina (Piazza Europa per gli sloveni) una pietra ricorda che lì iniziano idealmente l’occidente latino e l’oriente slavo. Lancerete un messaggio sull’immigrazione?

Si, di accoglienza e rispetto. Gorizia è anche un terminale della rotta balcanica e nonostante la sospensione diSchengen è ancora un confine poroso, con queste persone, soprattutto afghani e pachistani che arrivano e hanno bisogno di prima accoglienza. Questo chiede alle nostre chiese presenza e attenzione. A Gorizia cerchiamo di rispondere con iniziative anche spontanee e molta disponibilità con l’apertura di alloggi a bassa soglia e l’impegno di molte parrocchie. Non vorrei dimenticare la forte presenza di stranieri chiamata anche per lavorare soprattutto a Monfalcone. In Italia la media dei migranti regolari è del 9% qui siamo invece al 30%, di cui la metà bengalesi. Lavorano nei cantieri che costruiscono enormi navi da crociera e questo ha generato tensioni anche perché questa forte presenza non è facile da gestire perché va progressivamente integrata

Iniziando dalla libertà religiosa...
Certamente, è un diritto costituzionale da garantire nei modi corretti, come ricordano papa Francesco e tutti i papi degli ultimi decenni perché riguarda la libertà della persona e la sua profondità. Anche questa è una lezione che viene dalla nostra storia. Perciò auspico che si superino le tensioni e che le istituzioni pubbliche garantiscano luoghi adatti per l’esercizio della libertà religiosa e che poi questa porti pace, concordia e rispetto reciproco.

Che ruolo hanno avuto le radici giudaico cristiane europee nel cammino di riconciliazione a Gorizia e Nova Goriça?

I padri fondatori dell’Europa erano laici, ma con forti radici cristiane. Se non ci fosse stata l’Ue qui avremmo ancora il filo spinato con le guardie di frontiera pronte a sparare sui fuggitivi. L’Ue con i suoi difetti ha permesso di superare queste situazioni. Guardando i conflitti attuali , la lezione della nostra storia è che non bisogna guardare ai confini ingiusti. Quello che separava le due città tagliava in due case e cimiteri. Ma è inutile fare una guerra per renderli giusti, meglio l’incontro cercando i valori condivisi che i confini li fanno superare per camminare insieme.

sabato 3 febbraio 2024

La viceministra Bellucci: «La riforma è una svolta per tutti gli anziani»

@ - «Siamo a una svolta per tutti gli anziani. Non solo quelli non autosufficienti, che pure riceveranno una migliore assistenza, ma per l’intera popolazione ultra 65enne» La viceministra del Lavoro Maria Teresa Bellucci (Fdi), che ha coordinato la stesura del decreto attuativo della legge delega 33/2023, risponde alle obiezioni e rivendica i risultati della riforma.

La viceministra Bellucci: «La riforma è una svolta per tutti gli anziani»© Fornito da Avvenire

Viceministra, ma è davvero una svolta per l’assistenza agli anziani non autosufficienti? Il decreto attuativo sembra in realtà ancora di portata limitata, perché presenta molti rimandi a provvedimenti futuri e prevede una sperimentazione che però parte tra un anno…

Siamo realmente convinti della portata innovativa di questa riforma, che, voglio sottolineare, rappresenta la prima legge quadro in favore delle persone anziane over 65, attesa da oltre vent’anni. Limitarne il valore alla sola, per quanto fondamentale, parte dedicata agli anziani non autosufficienti significa non coglierne appieno il potenziale concreto per i cittadini. La riforma è già una certezza, il decreto attuativo ha ottenuto la bollinatura e utilizzeremo tutto il 2024 per dare sostanza all’attuazione a livello normativo, ma anche con l’impegno di reperire ulteriori risorse da mettere a disposizione per la migliore riuscita. I rimandi di cui lei parla sono strumenti indispensabili per entrare davvero nel dettaglio di una materia così complessa e articolata. Per questo abbiamo parlato della messa in sicurezza di un punto di partenza e non di un punto di arrivo. La sperimentazione della prestazione universale, a partire dal 2025, richiede una fase preparatoria per determinare correttamente la graduazione dei bisogni assistenziali dell’anziano non autosufficiente, che tradotto significa non lasciare scoperte le specifiche necessità dei più fragili.

Video correlato: Pnrr, Bellucci: "Oltre 1 miliardo a riforma anziani, raggiunto target" (Agenzia Vista)

«La riforma migliora l'assistenza per gli anziani non autosufficienti, semplifica la vita degli ultra 65enni e promuove l'invecchiamento attivo»

Sulla questione dei fondi, la premier Meloni e lei avete parlato di un impegno di oltre un miliardo. Chiaramente indicati, però, ci sono solo i 500 milioni per la Prestazione universale 2025-2026. Gli altri fondi come vengono impiegati?

Sul tema delle risorse vorrei fare chiarezza anche rispetto a molte inesattezze circolate negli ultimi giorni. Nel miliardo disponibile, di cui ha parlato la presidente Meloni, oltre ai 500 milioni per l’avvio della prestazione universale, tra le altre risorse importanti, si sommano: 400 milioni per l’assistenza domiciliare integrata (Adi), la medicina preventiva, la teleassistenza, la telemedicina e più di 100 milioni per le cure palliative. Il principio fondante di questa legge è garantire a ciascun anziano interventi personalizzati, grazie al progetto di assistenza individuale e integrata di carattere sociale e sanitario. Tutto ciò insieme a importanti misure per scongiurare l’isolamento e la solitudine che troppo spesso caratterizzano la vita delle persone anziane. Per questo incentiviamo la vita attiva, l’attività fisica, il turismo del benessere e “lento”, la socialità e il dialogo con i giovani, promuovendo anche per esempio la coabitazione (cohousing) sia tra senior sia intergenerazionale. Non manca anche una misura per favorire la relazione con animali d’affezione: chi ha basso reddito, e si rivolge a un canile o gattile, potrà essere sostenuto nelle spese veterinarie, dei farmaci e del cibo.

Dalla sperimentazione della prestazione universale si può dedurre che l’indennità di accompagnamento non verrà riformata, mentre si agirà su una quota aggiuntiva. È così? E la quota di 850 euro mensili pensata per gli ultra 80enni gravissimi e con 6.000 euro di Isee rappresenterà il massimo?

Per sgomberare il campo da errori, chiarisco che il governo ha messo in sicurezza chi ha diritto all’indennità di accompagnamento, non toccando né i requisiti né l’entità economica, che attualmente è pari a 531,76 euro. La quota aggiuntiva di 850 euro è avviata in fase sperimentale per il biennio 2025-2026, in favore degli over 80, con Isee fino a 6mila euro e condizione di non autosufficienza gravissima, ma il nostro impegno è di estenderla a molte più persone graduandola in funzione del reddito e dell’intensità assistenziale. Ripeto, il cammino è solo all’inizio e quest’anno servirà anche a predisporre le nuove modalità sperimentali di attuazione in linea con l’innovazione richiesta dal Pnrr.

Ma si prevedono anche forme di semplificazione per la vita degli anziani?

La semplificazione è uno dei pilastri della riforma. Per esempio, un’unica valutazione multidimensionale (Vmu) di base prenderà il posto delle tante valutazioni a cui finora ha dovuto sottoporsi una persona anziana. Una novità che renderà più semplici le procedure per l’accertamento dei bisogni e della condizione di ciascuno, attraverso un unico punto di accesso (Pua), da parte di un’unica unità di valutazione multidimensionale (Uvm), composta da un’equipe integrata sociosanitaria. La valutazione ottenuta sarà digitalizzata e disponibile su piattaforme interoperabili, in linea con quanto previsto in materia di telemedicina e del fascicolo sanitario elettronico.

È importante che la quota aggiuntiva sia legata all’acquisto di servizi certificati o all’assunzione regolare di lavoratori. Vi aspettate che ciò favorisca l’emersione dal nero?

Assolutamente sì, è un’operazione virtuosa anche da questo punto di vista. Il lavoro di cura è tenuto in massima considerazione da questo Governo, poiché rappresenta un valore aggiunto di coesione sociale e culturale ed è importante sostenerlo facendo leva sulla regolarità dei contratti. Per la prima volta, aggiungo, si interviene nel merito della qualità delle prestazioni, introducendo il criterio degli standard formativi per gli assistenti familiari con l’obiettivo della riqualificazione del lavoro di cura.

Alcuni osservatori hanno espresso dubbi: c’è un’effettiva integrazione tra l’assistenza sanitaria e quella sociale? Come verrà potenziata in concreto rispetto agli attuali livelli non certo elevati?

L’integrazione sociosanitaria è il filo conduttore della riforma, che si realizza progressivamente su vari livelli anche istituzionali nella consapevolezza che la materia è scottante perché coinvolge la competenza delle Regioni insieme a compiti di attuazione di livello comunale. Il valore enorme e forse più difficile da comunicare è l’avvio di una governance multilivello che parte dal Cipa (Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana), passando per l’istituzione del Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (Snaa), e il coinvolgimento a livello regionale degli assessorati competenti per poi arrivare ai Comuni, gli Ats e i distretti sanitari. L’integrazione, che è un’innovazione di sistema, non viene lasciata alla buona volontà degli amministratori, ma diventa un obbligo cogente di azione sottoposta a monitoraggio da parte dei ministeri.

Nel decreto ci sono anche misure per l’invecchiamento attivo: vedranno una concreta realizzazione già quest’anno?

Sì, perché l’obiettivo, con la declinazione delle varie misure, è già alla portata dei diversi ministeri coinvolti. Ci vorrà certamente un po’ di tempo per vederne gli effetti, ma è una legge quadro che guarda avanti e punta a cambiare il paradigma culturale, l’approccio alle politiche in favore della terza età. Non una cornice vuota, bensì l’architrave di un nuovo welfare che punta alla realizzazione del diritto delle nonne e dei nonni di oggi e di domani a una vita più dignitosa e, per quanto possibile, serena.

sabato 20 gennaio 2024

Don Giorgio Zevini: «Io, segretaria di un Dicastero vaticano. Di donne...

Don Giorgio Zevini: «Io, segretaria di un Dicastero vaticano. Di donne...: @ - La pace per germogliare e crescere nel mondo ha necessità di una matrice imprescindibile: un rapporto sano tra uomo e donna. Ne è conv...

Termini, straniera tenta di rapire un bimbo. La nonna: «Io scaraventata a terra, nessuno ci aiutava»

@ - Mattinata da incubo mercoledì, a Termini, per una sessantenne originaria di Terracina e il nipotino di 10 anni. «Una donna ha tentato di rapire il mio bambino, strappandomelo via dalle mani.

Termini, straniera tenta di rapire un bimbo. La nonna:
«Io scaraventata a terra, nessuno ci aiutava»© Redazione
Mi sono opposta con tutte le forze, sono stata scaraventata a terra e picchiata, urlavo disperatamente, ma nessuno è intervenuto per aiutarci. È stato terribile». È ancora sotto choc la signora Adriana G. che ieri ha presentato una formale denuncia dell’accaduto negli uffici del commissariato della cittadina costiera. Il suo racconto è rotto da un pianto sommesso quando ripensa allo sguardo terrorizzato del nipote che valeva più di mille richieste di aiuto: «Nonna, ti prego, non mi lasciare», le ripeteva.

La donna era arrivata a Roma molto presto per sottoporsi a una visita medica specialistica. Aveva dovuto portare con sé il nipote perché la scuola era stata chiusa per un guasto ai riscaldamenti e il padre del bambino si trova all’estero per motivi di lavoro. Nonna e nipote erano partiti da Monte San Biagio all’alba per non arrivare tardi all’appuntamento in ospedale. Svolta la visita, si erano quindi diretti nuovamente alla stazione Termini per fare ritorno a casa. Per qualche minuto hanno perso però il treno delle 10.36 e, dunque, per ingannare il tempo in attesa della corsa successiva, hanno deciso di andare a fare colazione all’esterno della stazione, sul lato di via Giolitti. Quando stavano tornando a Termini, racconta la nonna, si è avvicinata una donna. «Sulla quarantina, accento straniero, capelli ricci castano scuro sulle spalle. Indossava dei jeans blu, scarpe da ginnastica, un giubbotto grigio scuro e una sciarpa marrone», come metterà a verbale davanti agli agenti. «Non sembrava una sbandata, ma una dei tanti passanti», ricorda. Passando accanto ad Adriana che teneva il bambino per mano, la donna si è rivolta al piccolo dicendo: «Che bello sei». Poi, improvvisamente, lo ha afferrato per il giubbino, tirandolo a sé. «Mi diceva “lascialo” e a lui “vieni con me, sono io la tua mamma”. Di impulso l’ho stretto ancora più forte», racconta la nonna. Anche il nipote si è difeso cercando di allontanare la sconosciuta come poteva, tirando calci.

VIOLENZA E INDIFFERENZA
La sconosciuta a quel punto ha mollato la presa, ma subito dopo si è accanita contro la sessantenne. L’ha afferrata per i capelli, facendola cadere a terra, poi l’ha colpita con calci, pugni e un ombrello. La signora Adriana con una mano provava a proteggersi dai colpi, mentre con l’altra continuava a stringere sempre più forte il nipote. «Non riesco a togliermi dalla mente quei momenti, mai provato in vita mia così tanto terrore, per un attimo ho davvero avuto paura di perdere mio nipote. Non ero neanche nel pieno delle mie forze perché il giorno prima avevo fatto un esame, mi sentivo debole. E mentre quella signora si accaniva contro di me, avevo davanti solo lo sguardo di mio nipote che cercava di difendermi e mi guardava terrorizzato». La voce di Adriana s’incrina, comincia a piangere, ma continua il suo racconto: «A farmi più male però non sono stati tanto i calci e le ombrellate di quella folle. A quell’ora, erano circa le 11, la stazione era piena di gente. Alcuni passanti si sono fermati mentre la donna ci aggrediva, si era formato un circoletto, ma nessuno è intervenuto in nostro soccorso. Non riesco ancora a crederci. E non dico tanto per me, quanto per mio nipote, un bambino, che si trovava in una situazione di evidente pericolo e tentava di difendersi».

Poi la sconosciuta si è allontanata, nonna e nipote sono entrati in stazione e hanno raccontato quanto accaduto ad alcuni agenti della Polfer. «Con loro - conclude Adriana - siamo tornati sul luogo dell’aggressione, anche perché nella colluttazione avevo perso degli orecchini a cui tengo molto. Arrivati sul posto, ho rivisto di nuovo la donna, l’ho indicata agli agenti che l’hanno fermata e identificata» Ma lì per lì, Adriana non se sente di presentare denuncia e di andare in pronto soccorso. «Ero sotto choc e mio nipote sconvolto mi abbracciava e scongiurava di portarlo a casa». Adriana si è poi recata all’ospedale di Terracina, dove è stata refertata con 3 giorni di prognosi per le lesioni riportate. Indagini sono in corso per rintracciare la donna autrice del tentativo di sequestro del minore. Non si esclude possa essere una squilibrata. Poco più di un mese fa una donna aveva tentato di rapire una bambina di 3 anni dal cortile di un asilo di Montesacro. Cinque anni fa un’altra di origine somala fu arrestata dai carabinieri per avere tentato di sottrarre una bimba di 21 mesi da un passeggino in via Cernaia, non lontano da Termini. La donna fu, però, rilasciata a piede libero.

martedì 19 dicembre 2023

Non viviamo tempi normali

@ - I cattolici non trovano il loro posto nella politica italiana, ma la politica italiana non trova pace senza i cattolici. Per questo, se ne torna periodicamente a discutere anche se non si trovano sbocchi concreti.

Non viviamo tempi normali© Fornito da Avvenire

Di recente se ne è riparlato per il Partito democratico, ma il problema riguarda tutte le forze politiche. Oggi, i cattolici votano per tutti i partiti e sono in tutti i partiti: è il risultato atteso da un’Italia “Paese normale”, secondo lo slogan che negli anni Novanta ha ispirato la nascita della Seconda Repubblica. Ma, in questa presunta normalità, da un lato, i cattolici si sentono e vengono percepiti come irrilevanti e, dall’altro, prevale una politica che non riesce a dare slancio al Paese. La ricerca della normalità – in politica come in altri campi – è più che comprensibile. Specie dopo il cessato pericolo per una minaccia durata molti anni – come quella che la Guerra fredda degenerasse in uno scontro aperto – il desiderio di mantenere la quiete spinge a rimuovere dubbi, allarmi e preoccupazioni. Ma la categoria di normalità mal si concilia con la complessità della storia, come mostra il caso della democrazia, un sistema che si può dire sia stato in crisi praticamente fin dai suoi inizi. Dopo il 1989 in Italia si pensò che la politica italiana potesse finalmente passare a una normale alternanza tra destra e sinistra come in democrazie consolidate quali Gran Bretagna e Stati Uniti: bastava spazzare via l’“anomalia” rappresentata dalla Dc. Ma se la Dc è stata un’“anomalia” non lo è stata solo per la Guerra fredda: è nata infatti in un’Europa sconvolta dal totalitarismo fascista e nazista e straziata dalla Seconda guerra mondiale.

Indubbiamente, non è affatto obbligatorio che credenti, uniti da una comune fede nel trascendente, si uniscano anche sul terreno contingente della politica. Ma se lo hanno fatto nell’Italia post-bellica non è stato per l’ordinaria amministrazione ma per un’azione straordinaria: consolidare in profondità una democrazia che il fascismo aveva così facilmente distrutto. Hanno cercato di farlo attuando il “programma” della Costituzione che impegna la Repubblica a rispettare la dignità della persona umana e a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione. Si sono svincolati perciò dalla subalternità ad altre forze politichela regola in età liberale, durante il fascismo e anche oggi: la Dc è stata in questo senso un’eccezione – convinti di dover perseguire molto di più di una qualsiasi politica di centro. stata questa la principale ragion d’essere della Dc che - insieme alle migliori forze laiche, socialiste e comuniste - ha consegnato alla Seconda Repubblica l’eredità di una democrazia vera, seppure con limiti e difetti, sostanzialmente stabile anche se i governi cambiavano spesso, fondata sulla divisione dei poteri e su una centralità del Parlamento sostenute dai partiti, con istituzioni particolarmente riuscite come un Presidente della Repubblica di elezione parlamentare e rappresentativo di tutti gli italiani…

Come tutte le eccezioni, si dirà, prima o poi anche l’eccezione Dc doveva finire. Ma nell’idea di un’Italia “Paese normale” c’era molta ingenuità, anzitutto perché implicava che intorno ci fosse un mondo normale. È stata l’illusione della “fine della storia”, intesa come scomparsa di scontri tra blocchi contrapposti e di grandi conflitti internazionali. Che fosse un’illusione lo vediamo chiaramente oggi mentre la guerra divampa in modo impressionante e la normale alternanza destra/sinistra si è inceppata anche in Paesi di antica tradizione democratica: il non-passaggio di poteri da Trump a Biden è eloquente e anche la politica britannica sperimenta da tempo gravi difficoltà. Ma è difficile richiamare i cittadini alla partecipazione se la democrazia si riduce a uno stanco esercizio di ripartizione del potere. In Italia si avverte oggi l’assenza di forze “anomale” che non corrano lungo i normali binari dello scontro ma si misurino con le sfide di un mondo sconvolto e cerchino di conciliare l’inconciliabile: diritti degli individui e coesione sociale, concorrenza e solidarietà, politica di sicurezza e impegno per la pace, integrazione europea e interessi nazionali.

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mercoledì 13 dicembre 2023

I finti salvataggi di Casarini: dei soldi dietro i soccorsi

@ - Non un «rescue», una missione di salvataggio di migranti in mare. Per gli inquirenti di Ragusa quello della Mare Jonio sarebbe stato un intervento su commissione, con promessa di retribuzione, e raccontato invece come un soccorso urgente.


I finti salvataggi di Casarini: dei soldi dietro i soccorsi© Fornito da Il Giornale

Non un «rescue», una missione di salvataggio di migranti in mare. Per gli inquirenti di Ragusa quello della Mare Jonio sarebbe stato un intervento su commissione, con promessa di retribuzione, e raccontato invece come un soccorso urgenteQuando l'11 settembre 2020 la nave della ong Mediterranea, con il no global Luca Casarini, raggiunge la Maersk Etienne, la petroliera danese aveva a bordo da 38 giorni 27 migranti nella vana attesa di un porto da Malta. Secondo i finanzieri che hanno svolto le indagini, sarebbero cruciali per ipotizzare il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina contestato a Casarini, al capo missione Giuseppe Caccia e ad altre tre persone, i contatti rilevati prima della partenza della nave ong da Licata. Già, perché due giorni prima di quella che ai media veniva presentata come «un'operazione di salvataggio» sono state «rilevate diverse conversazioni» tra Caccia e l'associazione degli armatori danesi.

L'ipotesi, si legge nell'informativa della polizia giudiziaria, è che in queste telefonate, in quel momento non ancora sotto intercettazione, «la Maersk abbia potuto allertare Mare Jonio con la prospettazione di una cospicua ricompensa pecuniaria». Due mesi dopo è arrivato un bonifico da 125 mila euro dalla società danese alla Idra Shipping, armatrice della Jonio. Gli accusati negano qualsiasi accordo preventivo.

L'11 settembre ecco l'annuncio della ong: «Questa notte la Mare Jonio ha ricevuto un'urgente richiesta di assistenza da parte di Maersk Etienne, situazione disperata a bordo per 27 persone. La Mare Jonio, in rotta verso la zona Sar libica, si è diretta verso la Maersk Etienne, alle 8.30 la nostra qualificata equipe medico sanitaria l'ha raggiunta. Alle 9 abbiamo iniziato un primo check delle condizioni di salute fisica e psicologica». Per gli inquirenti invece sarebbe stato tutto «concordato con i dirigenti della compagnia Maersk», non indagata. Vi è traccia dell'ipotesi investigativa anche in un messaggio di Caccia e Casarini al presidente di Idra, Alessandro Metz, inoltrato nella chat del Direttivo della ong: «Siamo stati direttamente contattati dall'associazione degli armatori danesi e dalla stessa Compagnia. Appena partiti ci sarà inviata una richiesta di assistenza».

Per i finanzieri gli indagati avrebbero «precostituito una situazione emergenziale sanitaria». Agli atti due audio inviati a Metz dal suo staff dopo il trasbordo dei migranti: «Jason (un soccorritore ndr) è super incazzato, mi ha scritto che non era per niente d'accordo a fare questa cosa, perché lui voleva ovviamente fare un rescue (un salvataggio, ndr)».

Il 12 settembre il medico a bordo di Mare Jonio, una neolaureata in medicina senza specializzazione, chiede e ottiene una evacuazione medica di emergenza per una donna in presunto stato di gravidanza, sbarcata dalla Guardia costiera a Pozzallo e poi portata in ospedale. Dal verbale di pronto soccorso risultava che la donna non era in stato gravidanza, ma in buone condizioni di salute e subito dimessa. In quelle ore i giornalisti chiedono alla ong conto delle condizioni della donna. «Come sta la ragazza incinta ricoverata? Sappiamo qualcosa?», chiede il responsabile della comunicazione della ong a Caccia. Che risponde: «Dimessa. Non era incinta ma colpita da fibroma uterino. Notizia deve restare riservata tra noi, prima che la destra la possa usare».

giovedì 23 novembre 2023

Tragico incidente in un villaggio in Tanzania: è morto l’ex sindaco di Ledro Achille Brigà

@ - Presidente del Gruppo missionario Alto Garda e Ledro, si trovava in missione a Manda


La notizia, all’inizio, è rimbalzata sui cellulari, mormorata a bassa voce, non confermata e piena di punti di domanda. Forse troppo sconvolgente per essere vera: Achille Brigà, ex sindaco di Ledro, presidente del Gruppo Missionario Alto Garda e Ledro e della cooperativa So.l.e, è morto in un tragico incidente mentre si trovava in una missione in Tanzania, nella sua amata Africa, che per lui, più che un continente, rappresentava una ragione di vita. La conferma è arrivata in tarda mattinata. Per Achille Brigà, 74 anni, di Concei, è stato fatale un volo di circa tre metri da una scala, mentre cercava di raggiungere alcuni pannelli fotovoltaici che non funzionavano a dovere, nella piccola missione di Isagalambizi. Proprio a Isagalambizi, l’associazione che presiedeva qualche tempo fa aveva installato un impianto idrico composto da un sistema di pompaggio alimentato grazie all’energia del fotovoltaico.

La spedizione altogardesana – partita l’8 novembre per rientrare il 19 dicembre – era composta da tre volontari esperti, due ragazze giovani alla prima esperienza in Africa – tutti di Riva del Garda – e da Achille, al suo ventesimo viaggio. Achille si stava dunque accingendo a un intervento di manutenzione dei pannelli che alimentano i pozzi, la cui realizzazione è tra le attività primarie del Gruppo Missionario. «Ancora non sappiamo bene come è successo – racconta il vicepresidente del Gruppo Missionario, Carlo Risatti, molto provato dalla notizia – forse è scivolato una volta sul tetto, forse sull’ultimo gradino della scala appoggiata al tetto. Una caduta da tre metri, ma all’inizio era vigile, cosciente». Brigà lamentava un forte dolore al fianco sinistro. Subito sono stati chiamati i soccorsi, ossia il personale dell’ambulatorio realizzato dallo stesso Gruppo Missionario nel vicino villaggio di Manda, dove i volontari soggiornavano in questo periodo. Un’equipe di quattro persone, tra medici, infermieri e una suora sono arrivati sul posto e hanno prestato i primi soccorsi, principalmente antidolorifici, per poi caricare Achille in auto e avviarsi verso l’ospedale più vicino, quello del capoluogo di regione, Dodoma, a 100 chilometri di distanza. Nel tempo di una sosta a Manda, per prendere alcuni effetti personali e vestiti, le condizioni di Brigà sono precipitate. Ogni tentativo di rianimazione è stato vano e Achille non è mai arrivato in ospedale.

L’ex sindaco di Ledro – aveva ricoperto il ruolo fino al 2015, anno in cui era iniziato il primo mandato del successore, l’attuale sindaco Renato Girardi – lascia una comunità esterrefatta. «Era andato in Africa per la prima volta dopo la pensione, per scherzo – racconta con la voce rotta il suo vice Risatti – perché diceva che voleva verificare le reali condizioni della popolazione. E da allora si è dato anima e corpo per il popolo africano. Mi diceva: Non si può sapere la soddisfazione che provo quando vedo un bambino che beve l’acqua”». L’Africa e il Gruppo Missionario erano diventati il fulcro della vita di Brigà, che però restava ben radicato nella sua amata terra. «Era un entusiasta – lo ricorda commosso Nicola Rosa, da anni insieme a Brigà nel direttivo della cooperativa So.l.e, che si occupa di energie rinnovabili – si era impegnato in So.l.e perché fin dal 2007 credeva nelle energie green che poteva esprimere la valle. Aveva portato nella cooperativa l’esperienza di una vita di lavoro in Enel». Brigà è stato un pioniere del solare collettivo – nel 2008, quando ancora non c’erano norme adeguate -, del green, e nell’ultimo periodo stava seguendo lo sviluppo delle prime Cer. Achille Brigà non si è mai perso d’animo, sempre in giro per la valle, pronto a scattare non appena veniva a sapere che qualche artigiano dismetteva l’attrezzatura: prendeva tutto per portarlo agli artigiani africani, che voleva indipendenti ed emancipati, camminare con le proprie gambe. «Portava anche le attrezzature della cooperativa, collaboravamo – continua Rosa – per dare energia a queste pompe, che erano il suo orgoglio. Ci mandava foto e video di quello che faceva. Non era una passione, era la sua vita».
Achille Brigà sarebbe stato pronto a tornare in Africa già all’inizio del prossimo anno, ma ora, invece, l’associazione è al lavoro per farlo tornare. «Siamo in contatto con l’ambasciata, ancora non abbiamo certezze» dicono dal Gruppo Missionario. Ora i volontari in Tanzania hanno una nuova, triste missione: far tornare Achille a casa per sempre.